c.1… affondato…

http://www.confuzine.com/2014/01/29/c-1-sunk-thoughts-from-italy-about-pigs-democracy-and-concrete/

Portland, Basilea, Giugno 2013

«Perché noi non possiamo avere un posto così?»

Carrozzeria Novellino, Milano, Agosto 2013

«Pensa a cosa possiamo fare qua dentro…»

Da nessuna parte, Gennaio 2014

«Non esistono parole adatte a descrivere il sapore di merda, putrefazione e sangue che ti lascia in bocca il collutorio della legge: nonostante abbiano spesso cambiato l’etichetta, gli unici gusti disponibili in quest’epoca di crisi permanente sono ancora “olio di ricino” e “repressione”»

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Il cemento è il materiale sul quale chi tenta di governarci ha fondato il suo impero di flussi, di idoli passeggeri, di profeti bidimensionali, di eroi senza spada. Noialtri siamo cresciuti giocandoci. Disegnando curve e spigoli immaginari in tre dimensioni, abbiamo manifestato la nostra indipendenza dall’idea “legale” di “spazio” (“andatevene a fare sketvorld da nantra parte!”), la nostra autonomia rispetto al “professionismo” dei “tecnici”. DIY vuol dire: “Io (individuo), insieme ad altri come me, sogno, immagino, progetto, provo, imparo e realizzo”. DIY significa che se ti scappa la voglia di un quarter con due metri di vert, trovi il modo di costruirlo: la merda non la puoi tenere per troppo tempo; il quarter hai voglia di cagarlo fuori nel preciso istante in cui lo stai immaginando.

 Il cemento che hai pazientemente lisciato con le tue mani (sempre più capaci, sempre più esperte) fa un rumore incredibilmente diverso da qualsiasi cosa mai udita: è il suono che può sperimentare solamente chi ha mescolato il proprio sudore alla materia plasmata, la vibrazione potenziale dell’essere umano libero. «Fosse anche solo per questa session, ne è valsa la pena»… l’incomprensibile perfezione dei rapporti tra raggio, flat e altezza ci ha lasciati lì per terra, tra macerie e risate, con il ritratto della soddisfazione stampato in faccia. «Fammi droppare che la do (la coppa) subito!». Nulla di strano: la cognizione del dolore fisico, il sapore del sangue, il rifiuto testardo dei limiti imposti dal corpo, sono parte integrante della storia di ogni skateboarder. Indescrivibile la gioia di carvare sempre più in alto su quei muri inaccessibili alla “maggioranza”: solo alcuni di noi ce l’hanno fatta a sperimentare queste sensazioni entro quelle quattro mura. Solo per una notte abbiamo assaporato la potenza delle Nostre transizioni, il valore dei Nostri sforzi, la libertà enunciata da quel suono che solo la plastica delle ruote a contatto col Nostro cemento poteva produrre. Solo per una notte gli amici del Circolino hanno potuto osservare, con occhi illuminati dallo stupore, un milionesimo delle manovre possibili su quei due quarter. Nottate su nottate trascorse a perfezionare il progetto, ricerche estenuanti per recuperare i materiali necessari, Tempo pieno zeppo di significato trascorso costruendo un gruppo di lavoro solido, complice e organizzato. Alcuni di noi non potranno far altro che ammettere a se stessi: “Non ho mai provato niente del genere”. Autonomia totale. Skateboarding puro.

Il cemento armato.. pensavamo fosse “antisgombero”. Non è affatto così: ora lo sappiamo.

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L’altro ieri un gruppo di infami in borghese, seguito a ruota da una folta schiera di playmobil blu (tutti bardati, si intende), si è recato presso il Circolo del Fusaro per rendere operativo il sacrosanto diritto della “democrazia” a distruggere quanto alcuni esseri umani liberi provano a costruire. Ieri, così come è avvenuto poche settimane fa sotto il ponte di Rubattino (come è successo milioni di altre volte, in altri contesti, in altri luoghi), i signori dell’Ordine hanno stabilito che un “non luogo” vuoto, appositamente devastato (da operai specializzati pagati centoventi euro al giorno per macchiarsi di un crimine contro l’intelligenza) e blindato da muraglie di lamiera, è da preferirsi ad un qualsiasi spazio dove cimentarsi in pratiche legittime e creative, che per pura coincidenza risultano incompatibili con la legalità istituzionale presente (così c’è scritto sui libri di chi spedisce in giro gli sbirri). Insomma la nostra legittima fotta di costruire col cemento dei frammenti della nostra stessa “follia”, si scontra con la “sana” nonché legalissima normativa vigente. «Avete voglia di spendere gratuitamente il vostro tempo per costruire con i vostri amici uno skatepark aperto e gratuito? Non potete, punto. Così dice la legge».

La domanda è: “Siamo davvero capaci di smettere? I nostri corpi accetteranno la violenza del metadone che ci hanno spruzzato in vena?”… ogni Homo Sapiens che scelga di spingersi in avanti su di una tavoletta con quattro rotelle sotto, tiene lo spazio per le palle: doma superfici sconosciute alla “maggioranza ignara”, varca le soglie più imprevedibili, sperimenta il “volo”.

Questa barca ce l’hanno affondata: ma nell’oceano artificiale di cemento che ci circonda non ci servono nemmeno le scialuppe di salvataggio… perché in questo cazzo di oceano i pesci siamo noi e, comunque vada, non affogheremo. Perché la metropoli (il nostro elemento) è l’aria che respiriamo. Sopravviveremo per molto tempo, tra le metafore e i sillogismi di questo “discorso infame” che cercano di farci inghiottire giorno dopo giorno. Finché esisterà la città, noi sopravviveremo: comunque, dovunque. E con noi sopravviverà lo stimolo a cagare altro cemento in ogni spazio che saremo capaci di occupare con la nostra voglia di collaborare, per spingere oltre il limite questa roba che nessun altro può comprendere al di fuori di noi. Mai come oggi questo mantra di tre parole e dieci lettere assume un valore così incredibilmente commovente:

 

Skate or Die!

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Gli skateboarder della Carrozzeria Novellino

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