Cieca

Cieco è il racconto che vorrei condividere con quanti si sono cullati tra le curve di Whidaw in un pomeriggio di questo agosto ricco di storie e povero di “parole al vento”.

Cieco è il racconto di questa session, perché non ci sono fotografie, nè video, ma solo robe scritte.. e se è vero che, nell’epoca dello smartphone, raccontare “a parole” lo skateboarding è come usare il latino cantato delle messe nere, è altrettanto vero che non bisogna smettere di scrivere. La trasmissione di qualunque Pensiero passa attraverso combinazioni infinite di lettere, punti e parole. E vista la complessità della materia che plasmiamo quotidianamente skateando, vale sempre la pena di perdere qualche ora per descrivere e comunicare… per elaborare e riordinare la serie caotica di sensazioni emergenti dal setaccio di un lungo pomeriggio come quello di oggi, fatto di transizioni, trucchi, materiale fetish, divani, birrette e friskies.

Recuperare ad esempio uno Skateboarder come Simone Verona alla stazione e trovarne altri due, Rino e il Vaga, che aspettano sulla soglia di Whidaw alle due del pomeriggio, è emozionante. Viene da pensare a qualcosa del tipo: “Apperò! Ci deve essere del buono a bordo di sta barca qua!”. E la session inizia subito eh! Mica si fa attendere. C’è giusto il tempo di aprire le saracinesche e di godersi lo sguardo meravigliato di un Simone che osserva e studia lo spazio intorno lui, con occhi parlanti che dicono “ma in quale tana di bianconiglio sono cascato?”. Poi se il primo trick di Rino è un “flip to piede plant to fackie” che non vedi, significa che le cose si stanno mettendo bene. Entri nel vortice con gli altri e ti godi il panorama di tre Skateboarder che, come forestieri in una terra sconosciuta, iniziano ad esplorare le traiettorie, a masticare i coping, a scovare linee nascoste. Whidaw è una bestia strana: bisogna fare come coi cani… avvicini con cautela la mano al muso dell’animale, ti lasci annusare e poi gli fai due carezzine. Certo la possibilità che le “carezzine” te le faccia lei non va sottovalutata… Ma lo spazio-tempo di una skateata gagliarda è come quello dei sogni: in un attimo sei già pezzato e incollato al divano con una birra in mano. E te ne stai lì a discorrere e pensi, forse tra poco ci saluteremo. Eppure no: squilla il telefono e apri le porte al Pierinone più amato dagli italiani (nonché, Robi compresa, dagli Oregonesi), il quale, per non saper né leggere né scrivere, ti chiede una cartina lunga per iniziare a costruire il suo castello delle meraviglie, che prima ancora di esaurirsi è già l’introduzione di una nuova session. Bam! Bam! Bam! Bang! Lo Zibevic saluta tutti e Faolino gli dà il cambio. Altro castello delle meraviglie. Altre linee. Altre Legnate. “Faccio altri due trick” le ultime parole famose di un Simone Verona che, per accomiatarsi, fa girare un gran bell’uragano sul pool coping autoprodotto. Quindi saluti e pacche sulle spalle. E la dimostrazione tangibile che gli Skateboarder con la “S” maiuscola (quelli che, oltre a blastare, conoscono a fondo il valore di ciò che i negri chiamano Rispetto) sono in grado di comprendere le realtà che attraversano. “Quello è l’offertodromo?”: sono pochi quelli che non hanno bisogno di essere tirati per la manica quando si tratta “sostenere” (con quello che hanno in tasca o nello zaino) una realtà come quella di Whidaw. E quindi il “Grazie Simo!” e il “Grande Rino!” (presentatosi a rapporto con tre Franziskainer gelide) sono doverose dichiarazioni d’amore dedicate a tutta quella gente seria che non si limita ad esistere, ma che Vive e quindi comprende il valore dello spazio-tempo che attraversa. Pappardella finita? Magari! Perché la decompressione post skateboarding ha bisogno di tempo, specialmente quando seduti gli uni accanto agli altri si inizia a condividere progetti, a raccontare storie e a bere altre birrette. Così viene fuori che gli Oregonesi hanno trovato la California in mezzo alle campagne romagnole, che il Giorgione nazionale li accompagnava a Camarano come fanno i padri coi figli (nel senso dello scarto di livello tra un mostro sacro e dei bravissimi pischelli), che il buon Crestani ha trattenuto a fatica l’emozione dovuta ai complimentoni sinceri che i ragazzi dell’Oregon gli hanno fatto prima di partire. Altre storie di uno skateboarding italiano che, nonostante tutto, può offrire brani di una Cultura personalissima, anche a gente che oggi viaggia sui binari di un’altra dimensione. E va a finire che alle otto di sera saluti i più irriducibili compagni di questa memorabile skateta con la testa gonfia e le movenze barcollanti, pronto ad affrontare una cena a base di fagioli, cicoria e vino rosso… pronto per collassare davanti al video del tour Dumb a Sarajevo… pronto e motivato a trascorrere un po’ di tempo davanti al computer per immortalare e condividere l’esperienza di un pomeriggio tra Skateboarder.

Blatta